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la festa del giovedì grasso

Il giovedì grasso è tradizionalmente uno dei giorni più importanti delle celebrazioni carnascialesche, ovviamente anche a Venezia.

In laguna particolarmente,  durante il zioba de la cazza si svolgevano specifiche celebrazioni – come il taglio della testa al toro – che affondano le radici in tempi antichi.

 

Aquileia, il toro, e i 12 porci

Sappiamo dal Tassini che nel 1162 Ulrico – patriarca di Aquileia – attaccò il patriarca di Grado, Enrico Dandolo, costringenolo a rifugiarsi a Venezia. Il doge Vitale Michieli II prese le parti di Dandolo contro Aquileia, vincendo la battaglia finale proprio il giorno di giovedì grasso; fece quindi prigionieri Ulrico e i suoi dodici canonici. Per riacquistare la libertà, il patriarca di Aquileia promise di pagare alla Serenissima un tributo annuo di un toro, dodici porci e dodici pani.

In occasione di questa ricorrenza, il doge promosse le attività che avrebbero caratterizzato i zioba grassi veneziani fino al secolo XVI. I porci ed il toro venivano condotti in piazza s. Marco, ove il Magistrato del Proprio li condannava a morte e ne ordinava la decapitazione; un pezzo delle loro carni veniva successivamente donato ad ognuno dei senatori della Repubblica, mentre i dodici pani venivano distribuiti ai carcerati. Parallelamente, il doge e i senatori si recavano nella sala del Piovego di palazzo ducale, dove abbattevano dei modelli lignei a forma di castello, rivivendo simbolicamente la caduta dei castelli friulani.

Quando nel 1420 i patriarchi di Aquileia persero il loro dominio temporale – non potendo dunque pagare il loro pegno alla Serenissima-, il Consiglio stabilì che il tributo fosse pagato direttamente dalle casse della Repubblica, per il divertimento del popolo.

 

Il giovedì grasso nel ‘500

Questa tradizione si protrasse, come già accennato, fino al sedicesimo secolo. All’epoca vennero abolite l’uccisione dei maiali e l’abbattimento dei castelli in legno, in favore di altri spettacoli di piazza che ebbero non meno successo dei precedenti. Accanto alla decapitazione del toro – scortato in piazza dalle corporazioni dei fabbri e dei macellai – si istituirono le cosiddette Forze d’ercole, la costruzione della macchina per i fuochi artificiali, e l’esibizione acrobatica che verrà conosciuta poi come il Volo dell’Angelo.

Prima dei fuochi d’artificio e delle esibizioni atletiche di castellani e nicolotti, un uomo travestito scendeva dal campanile di san Marco camminando su una corda ed esibendosi in vari giochi d’equilibrismo. Arrivato a terra, tornava sulla sommità della terra per poi recarsi, per mezzo di un’altra corda, alla loggia di palazzo ducale a cui soleva sporgersi il doge, che là riceveva dall’equilibrista un mazzo di fiori. L’esibizione ebbe un epilogo tragico nel 1681, quando un barcaiolo provò la discesa senza assicurarsi alla corda e finì però per sfracellarsi al suolo. Nonostante il triste episodio, il “volo” venne ripetuto con regolarità fino alla caduta della Serenissima.

 

Le rivisitazioni moderne

Sul volo dell’angelo non c’è bisogno di dilungarsi, tanto è famoso ormai in tutto il mondo. Il corteo del toro è invece re-invenzione recente: il pomeriggio del giovedì grasso la compagnia L’Arte dei Mascareri organizza una parata con musica e spettacoli che parte da campo s. Stefano e arriva in piazza s. Marco. Là viene riproposta la decapitazione del toro – ma non preoccupatevi: è di cartapesta!

Se volete qualche info in più sull’evento, leggete la nostra scheda dedicata.

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