Ridotti e casini sono stati luoghi fondamentali per la società della Serenissima.
La Repubblica di Venezia è stata un crocevia di culture e si è sempre distinta nella storia per essere un baluardo di libertà concesse ai propri sudditi. È in questo contesto che si inseriscono appunto i ridotti e i casini, luoghi in cui si giocava d’azzardo e si passava la notte in compagnia di qualche cortigiana.
Cos’erano ridotti e casini?
Erano piccole case o stanze, pubbliche o private, frequentate da persone di tutti i ceti che si riunivano per “cianciare, giuocare e berteggiare”.
Il Consiglio dei Dieci più volte intervenne per regolamentare le attività all’interno dei ridotti, punendo le risse e i bari, in modo da mantenere l’ordine e da poterne trarre anche un profitto. Nel Settecento si contavano 136 fra casini e ridotti, ma non tutti erano luoghi di perdizione: alcuni erano accademie musicali e circoli letterari, vi si davano feste da ballo e cene sontuose.
A questi potevano accedere non solo i nobili, ma anche normali cittadini o persone appartenenti ai ceti più bassi. Tra quelli privati, ricordiamo i casini dei mestieri e delle corporazioni – come, per esempio, il casino del commercio a San Marco.
Un Ridotto che ha fatto storia
Tra quelli più importanti si deve citare il Ridotto pubblico di Palazzo Dandolo, aperto a San Moisè nel 1638. Potete vederlo qui sopra in un famoso dipinto di Francesco Guardi. Cliente fisso era Antonio Casanova che, nelle sue Memoires, descrive le stanze da letto con delle fessure sul muro in cui veniva servita la cena, attraverso le quali non si riusciva a scorgere chi vi fosse e cosa si facesse all’interno.
La privacy veniva garantita dall’uso diffuso delle baute, tipiche maschere di Venezia usate anche per partecipare a feste, schiamazzi o altro.
Tanta era la fama a livello europeo del Ridotto che era diventato una meta di visita per molti aristocratici stranieri, tra cui per esempio Federico IV, re di Danimarca. Ogni banco da gioco era presieduto da un gentiluomo, che aspettava i giocatori munito di zecchini e ducati. Si giocava in silenzio assoluto al Faraone, alla Bassetta, al Biribissi e ad altri giochi d’azzardo, in cui i partecipanti sperperavano i propri averi fino a privarsi degli effetti personali che avevano addosso.
Il Governo lo tenne in vita perché rappresentava una delle più ricche fonti di introiti per le casse della Serenissima. Questo valse finché non si rese conto che nel Ridotto la nobiltà perdeva ricchezza e diventava politicamente debole: nel 1774, infatti, chiuse i battenti.
Elena Baldo
Fonti
G. Tassini, Feste e spettacoli, Divertimenti e piaceri degli antichi veneziani